Diario da Weimar/Urbanistica

Di pomodori, di accoglienza, di concentramento.

ESPRESSO 30-3-1946

ESPRESSO 30-3-1946

Piccolo, tipo dieci – dodici anni. Si andava a fare la spesa all’attuale Ipercoop, all’epoca “Mongolfiera”, e dal mio paesello in collina, Montemesola, si arrivava a Taranto. Manco Taranto, in realtà, Paolo VI, quartierone operaio sorto in concomitanza con l’ILVA. Le strutture principali, il centro sociale, il Centro Studi della CISL, la direzione dell’ILVA, sono stati fatti da uno bravo, ma proprio bravo, Marcello Nizzoli. Dalla strada tra Montemesola e la Mongolfiera non si vedono le cose di Nizzoli, però. Si vede sto nastrone di asfalto, qualche masseria (“oh, quella è la “Era” mi ci portarono quando ero tipo in seconda o terza elementare, fighissima, rossa ed enorme”) una teoria macabra di lapidi a ricordare che comunque su quella strada qualcuno ci è morto. Niente di particolarmente traumatico. Una strada, amen. Poi, sulla sinistra, un oggettone in mattoni di cemento, ogni volta lo guardo con interesse e stupore, la forma è particolare. mi ha sempre fatto pensare al disegno che sta sul pomello del cambio. Quello con le marce, però alto 6 – 7 metri (forse). Alla mia richiesta di spiegazioni la risposta era sempre la stessa “l’Acquedotto Pugliese”. Che come risposta non è granché. E un sacco di pietre, di macchia mediterranea, di immigrati che pascolano le pecore, di un caldo atroce anche se la strada la fai in motorino a 80 all’ora col casco aperto. E sei condannato a buscarti in faccia tutti gli insetti più o meno volanti del tratto tra Montemesola e l’Ipercoop.

In quella zona, scoperto oggi leggendo un libro dal titolo un po’ millenarista “Invisibile è la tua vera patria”, c’era un campo di concentramento. Inglese, con dentro qualcosa tipo diecimila ex soldati, ex fascisti, ex repubblichini, ex coloniali. Tutta gente che aveva fatto la guerra e, sfinita, non vedeva l’ora di tornarsene a casa e mandare affanculo Mussolini, inglesi, tedeschi e commilitoni, parecchi venivano dall’Africa, o meglio, venivano da tutti i teatri di guerra, erano stati mandati in Tunisia, in un campo di passaggio, per farsi decimare dalla diarrea e dalle bastonate, e poi, come se non bastasse, rispediti in campo di concentramento a Taranto, che per chi viene da fuori non è granché come posto manco ora, figuriamoci dopo la guerra; tutti quindi volevano arrivare in Italia, e smettere di pensare alla guerra. E invece manco per niente. Per mesi in un campo di prigionia che, in una bella immagine, veniva chiamato “Il campo della fame”. La gente ci moriva di fame. Nel 1946, a guerra finita. Sotto il fuoco delle mitragliatrici inglesi. Le stesse che nello stesso periodo stavano meticolosamente falcidiando i kikuyu in Kenya e stavano facendo di tutto per ricordare al mondo che la stronzaggine tedesca è serenamente paragonabile alla stronzaggine belga, italiana, francese, e soprattutto inglese.

Di quel campo rimangono muretti, qualche strada e soprattutto le basi delle baracche. E le storie di chi ci andò a finire dentro, e riuscì a scappare. E sono storie brutte, di quelle in cui un ragazzo viene fucilato davanti alla madre perché ha provato a raccogliere un pacchetto di viveri, lanciato dall’altra parte del filo spinato.

Poi gli inglesi se ne andarono, gli italiani non avevano la più pallida intenzione di tenere tanta gente a Taranto, e tanti saluti. Ricordatevi di prendere le vostre cose.

A Taranto c’è un altro campo. Ora, ci mettono chi arriva dall’Africa. Chi arriva, fortunatamente, non soffre la fame, ma l’isolamento, il disprezzo e tutto il corollario di belle cose che una manica di italianibravagente ha eloquentemente detto e fatto a Treviso e a Casale San Nicola (bravo l’italiano medio, entra nel parco, si fa la villetta abusiva, si fa arrivare acqua luce e gas, si fa condonare tutto e poi minaccia di dare fuoco agli immigrati). E invece no. Cioè, calma. Disprezzo e diffidenza verso i neri ci sta sempre, figuriamoci a Taranto, ma non ci sono state proteste di piazza. È successo che, anzi, durante un incontro gli immigrati abbiano davvero protestato, e non perché i pasti non erano di loro gradimento, perché c’erano i crocifissi o ste stronzate a cui il leghista medio, o il microfascista di casa nostra ama credere (idioti maledetti ignoranti), no, hanno protestato perché chiedevano di poter avvertire a casa che erano arrivati e stavano bene, e delle schede telefoniche non gli frega assolutamente niente, sarebbe bello telefonare a casa con skype e vedere che mio figlio sta bene, mangia e mi fa un sorriso. Perché pure se vengo da un qualsiasi paese africano conosco Skype e sto scappando da una situazione che mi impedisce di campare, mica di accedere a tecnologia a basso costo.

Accade quindi che un gruppo di tarantini, senza inveire contro questi che vengono qui e fanno il cazzo che gli pare, si siano detti “vabbò, ha senso, pure al Campo ‘S’ i detenuti potevano chiamare casa e farsi portare qualcosa da mangiare per non morire di fame come animali”. E quindi, sulla stessa terra dove nel ’46 diecimila italiani erano rinchiusi come ovini, oggi esiste un modem con una connessione internet. Spesa? 100 euro, diviso per i sottoscrittori di Welcome Taranto, un gruppo di volontari che rimangono umani. E vaffanculo agli abusivi di Casale San Nicola e alle loro case del cazzo e ai loro amici di Casaclown.

Accade però che la Puglia faccia veramente schifo: è il posto dove un immigrato viene tenuto con la testa sott’acqua da un gruppo di delinquenti sulla spiaggia o dove, a Nardò, nelle campagne sotto il sole a 42 gradi, un uomo di 47 anni muoia per sfinimento mentre raccoglie pomodori.

È una questione di campi.

Non so se c’è memoria del campo “S”, dove come bestie vivevano diecimila cristiani nel ’46, ma mi piace pensare che una sorta di memoria dell’azione, dei tanti fatti fuggire dai campi e aiutati dai civili di Taranto, sia in qualche modo persistente. Come non lo so. Dell’esistenza di sto campo ho contezza da stamattina. E la prima cosa che ho fatto è stata chiamare mia madre. “Ma tu sapevi che tra casa e l’Ipercoop ci stava un campo di concentramento inglese?” “Appena la vedo chiedo a tua nonna.”.

Però quell’affare per me con l’acquedotto non è che c’entri tantissimo.

M.S.

letture consigliate:

http://www.storiadelmondo.com/20/turco.campos.pdf

Liviano D’Arcangelo, Giancarlo – Invisibile è la tua vera patria …, Il Saggiatore, 2013

http://www.chefuturo.it/2015/07/migranti-taranto-internet/

http://ilmanifesto.info/mohamed-e-morto-per-i-nostri-pomodori/

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