Diario da Weimar/Urbanistica

Corviale e Guido Reni – L’idea di Bando come opera d’arte. Surrealista.

Il dirigibile Norge, costruito in via Fornovo, e lo stesso Corviale di trent'anni fa.

Il dirigibile Norge, costruito in via Fornovo, e lo stesso Corviale di trent’anni fa.

I due bandi per la caserma di via Guido Reni e per la Rigenerazione (?) di Corviale, diametralmente opposti nell’impostazione del bando e dei tentativi di esito, sono due facce dello stesso sentimento, ormai consolidato nella gestione dei processi edilizi complessi a Roma e, in generale, in Italia: l’esperienza anarco-individualista di EXPO, e il suo ormai conclamato fallimento formale e di contenuti delle architetture, con alcune nobili eccezioni, sta di fatto spingendo i bandi ad un sostanziale commissariamento della figura dell’architetto nei confronti del progetto.

Il bando di Guido Reni, vinto da un mediocre progetto dello studio di Paola Viganò, che sostanzialmente riprende le forme dell’International Style degli anni ’90 in salsa burinissima con la riedizione di palazzine compositivamente e morfologicamente anonime, è il classico punto di vista di una speculazione sostanzialmente privata. A Roma Capitale va benissimo incassare da un aumento di cubatura in quegli spazi, nonostante si sia ricorso, in fase di progettazione, ad un sostanziale annullamento di tutto il tessuto umbertino del controasse Flaminio rappresentato da via Guido Reni, salvato solo in parte dal MAXXI B.A.S.E..

Sia chiaro che il progetto di via Guido Reni è esclusivamente un brutto test: dopo Guido Reni finiranno tra le maglie della speculazione anche il Centro Trasmissioni di Viale Angelico e molti altri spazi di vecchia natura militare che dovrebbero essere presi e restituiti ad una dignità urbana, più o meno come accaduto a Grenoble, con il recupero, molto ben riuscito, della Ex Caserma De Bonne, esempio di convivenza tra edilizia residenziale ad altissimo contenuto tecnologico e aree pubbliche, semipubbliche e private (due hotel, cinema d’essai – non sfigato come quelli romani, scuole, abitazioni per studenti, negozi ristorante, parete da arrampicata per bambini, ecc. ecc.).

Cortesia di

Cortesia di “Roma Sparita” e “Google Earth”. Si riconosce il capannone dirigibili e l’area dell’attuale tribunale civile.

Non sarà così, nonostante le belle parole di Paola Viganò e un museo della scienza inutile. Tutti questi luoghi seguiranno la sorte della vecchia Caserma Cavour su viale Giulio Cesare, poi trasformata in un bellissimo impianto industriale e di ricerca dal nome “Stabilimento Costruzioni Aeronautiche”, una fabbrica da cui uscì, per dirne una, il dirigibile “Norge”, il primo a sorvolare il polo nord, nel 1926. Al suo interno c’erano un tale Comandante Umberto Nobile e un tale Roald Amundsen. Lo Stabilimento fu in parte distrutto e in parte recuperato. La parte (mal) recuperata oggi fa parte del tribunale civile di Roma. Quella demolita, con gli stabilimenti, le grandi aree da cui venivano “partoriti” i dirigibili e le officine, fu lottizzata per fare posto a palazzi e palazzine e agli uffici del Ministero del Lavoro, tra via Vigliena, via Cosseria, via Gavinana e via Fornovo. La sistematica demolizione della memoria del sistema unitario delle caserme e delle fabbriche rappresenta un modello estremamente pericoloso di sviluppo urbano, sia per la sostanziale banalizzazione delle rovine che vengono esteticamente recuperate nei progetti (ovviamente non in quello vincitore) che, soprattutto, per la volontà, ormai bolsa, di sottostare da parte del comune, a scelte di tipo privatistico di Cassa Depositi e Prestiti e di altri investitori privati nel momento in cui il decreto Sblocca-Italia pare dare ai grandi fondi di gestione immobiliare ancora più potere (art. 26 – si ripete la solfa degli interventi di “recupero di immobili a fini di edilizia residenziale pubblica, da destinare a nuclei familiari utilmente collocati nelle graduatorie comunali per l’accesso ad alloggi di edilizia economica e popolare…ecc. ecc.”. Si tratta di un bluff, basterà oblare una cifra e come per incanto le case per i poveri diventeranno appartamenti per chi se li può permettere. È accaduto, accadrà di nuovo), lasciando all’associazionismo una particina di fatto solo nell’arredo urbano e nella sua gestione (art. 24 – sempre meglio del nulla previsto finora. Ma da qui ad ipotizzare un intervento bottom-up nelle questioni serie di rigenerazione urbana ne passa!).

Il bando di Corviale è, se possibile, ancora più farneticante. Da un lato il privato, a Guido Reni, premia chi fa carne di porco di un tessuto particolarissimo come quello delle caserme, dall’altro il pubblico impedisce, ponendo paletti ridicoli, un reale pronunciamento dei tecnici sulle questioni edilizie di Corviale. A parte qualche posizione estremista contro l’edificio in sè, vedi quella del prof. Ettore Maria Mazzola, il quale da sempre si pronuncia sull’abbattimento completo di Corviale, sono presenti moltissime altre “anime” che vedono in Corviale un luogo da interpretare e da riprogettare, tra le posizioni “estreme” di chi si batte per il mantenimento, a chi lo vorrebbe vedere demolito.

Il bando in questione è un capolavoro di viltà. Prevede il mantenimento di tutto, limita anche la libertà di intervento nei piani superiori, si prodiga nel sottolineare che all’interno del Raggruppamento di Professionisti devono essere presenti PENA L’ESCLUSIONE un sociologo e un artista.

Sia chiaro che la presenza del sociologo, specie nei grandi progetti urbanistici e nei piani, è indispensabile. La presenza del sociologo nel Piano Cervellati per Tarquinia, cui ho personalmente collaborato, è stata di enorme aiuto per indirizzare il piano su processi partecipativi di tipo complesso. Ma sarebbe assurdo imporre sia la figura del sociologo che quella dell’artista in bando. Le figure sono arricchimento del progetto, e la loro imposizione è un contentino spocchioso ai sociologi e agli artisti. Come se la qualità di un progetto si computi dalla qualità dell’artista presente nel RTP. A pag. 11 del bando, dove si parla degli elaborati da presentare, si legge: “1e. indicazione delle installazioni artistiche e dello schema di orientamento integrati con la proposta progettuale (TEMI CORRELATI F e G).”. Come se l’installazione artistica sia da considerarsi termine ante quem, una soluzione unica, calata dall’alto, in cui l’artista, elevato a nobile cortigiana dell’RTP, decide le installazioni (installazioni? Ma all’ATER sono rimasti all’arte del 1999 – 2005?) con cui imbellettare sto vecchio palazzo sifilitico finché non tira le cuoia.

Si tratta di un modo gentile per dire che gli unici progetti che si intendono eseguire sono di natura cosmetica. Parlare di Corviale Smart Building, ed impedire ad un architetto una quota di demolizione o di ricostruzione è beffardo e stupido. Dimostra tutto il cinismo con cui Ater e il comune vogliono affrontare grandi temi appoggiandosi ora a elementi più o meno riconosciuti dell’architettura romana e alle loro comparsate cinematografiche, ora a tecnici comunali ipersindacalizzati e poco coraggiosi nelle scelte progettuali.

Di Corviale si ricorda solo Mario Fiorentino, ma va ricordato che quel manufatto, con tutti i suoi problemi, è figlio di una visione piranesiana dello scorcio d’angolo, del sistema distributivo interrotto, della visione prospettica infinita, insomma di tutti quei temi compositivi di cui, oltre Fiorentino, erano maestri Federico Gorio e Pietro Maria Lugli. L’idea di un bando così banale è un impedimento a ripensare criticamente il lavoro di Fiorentino e degli altri. Si vuole, forse su una onda lunga lanciata dal film “Scusate se esisto!” (mai titolo fu più passivo-aggressivo. Chiunque l’abbia pensato dovrebbe fare una lunga seduta di psicoterapia), immaginare una rigenerazione (cosa diavolo vuol dire?) soft e fatta di tantirendercontantepersoneacoprirelemagagne. In altre parole si vuole rendere quello che potrebbe essere il vero limes tra diverse culture del recupero, un ordigno disinnescato, un memoriale muto, più difficile da abbattere di una statua di Lenin, ma più da facile ignorare per i prossimi venticinque anni.

E non è tutto. Aspettiamo con fiducia, viste le due grandi premesse, il bando per la piazza del Parlamento, in cui finalmente, alla faccia della “Mano Aperta” che Samonà aveva chiesto in prestito da Leco, scopriremo quali “nuovi” e “giovanili” concetti commissarieranno il nostro lavoro.

Saluti da Weimar

M.S.

2 thoughts on “Corviale e Guido Reni – L’idea di Bando come opera d’arte. Surrealista.

  1. Caro Marco,

    ottimo pezzo!

    … La mia posizione sarà pure da considerare “estremista”, ma sarebbe necessario spiegarne a fondo il senso del termine che si vuole usare perché, diversamente, questo può interpretarsi solo negativamente.

    L’attuale concorso per Corviale è l’ennesima vergogna di un Paese in cui l’ottusa idologia degli architetti e dei docenti universitari, emuli di Le Corbusier & co., fa sì che si ritenga assurdo demolire un mostro energivoro, spersonalizzante, criminogeno e che richiede costanti costi (PUBBLICI OVVIAMENTE) di manutenzione, mentre al di là delle Alpi la Francia negli ultimi 10 anni ha investito oltre 60 mld di Euro per demolire le mostruosità urbanistiche fallimentari realizzate tra gli anni ’70 e ’80!

    Fare un concorso di “rigenerazione”, dove a priori è deciso che si debba mantenere in piedi questa schifezza non ha senso!
    Col mio progetto ho dimostrato che non solo è possibile sostituire il mostro senza costi per la collettività, ma che addirittura si potrebbero avere notevoli guadagni (ben 511 mln di euro!!) e generare moltissimi posti di lavoro, ho dimostrato che è possibile restituire 11 ettari di terreno alla campagna e che è possibile insediare 2000 nuovi abitanti ed una serie di attività attualmente inesistenti, inoltre sarebbe possibile realizzare un parco pubblico e che è possibile realizzare un “borgo” autosufficiente pensato per tutte le fasce d’età … il tutto senza cacciare di casa nessuno, grazie al programma graduale di sostituzione edilizia!

    Tuttavia gli organizzatori del concorso, in pompa magna e con tutta la dovuta demagogia del caso, hanno deciso di mascherare col termine “rigenerazione urbana” (preso in prestito non autorizzato, da me e dai miei colleghi con i quali l’abbiamo creato molti anni fa) la regolarizzazione (a condono edilizio chiuso e non rinegoziabile) degli immobili abusivi del 4° piano. Complimenti davvero!

    Il mio progetto, (regolarmente ostracizzato dai loschi personaggi che, campando grazie all’attuale Corviale, ne decidono le sue sorti), ha ricevuto tre importantissimi premi internazionali da parte dell’IMCL e dell’INTBAU, è stato preso come modello di sviluppo di nuovi quartieri che stanno sorgendo in Russia e, nello scorso maggio, sono stato chiamato a spiegare come risolvere i problemi dell’edilizia popolare in Brasile … mentre qui in Italia continuerò a vita ad esser considerato un estremista rivoluzionario semplicemente perché metto al centro della progettazione gli esseri umani e l’ambiente, piuttosto che l’ideologia alla moda … meglio così, sono talmente schifato dall’Italia che la cosa mi inorgoglisce!

    Se vivessimo in un altro Paese, più onesto e civile, se vivessimo in un Paese dove demagogia e ipocrisia non esistessero, se vivessimo in un Paese dove i furbetti del quartierino non avessero vita facile (come i loschi personaggi che campano grazie ai fondi pubblici che ricevono regolarmente per organizzare eventi e manifestazioni inutili per Corviale), quella vergogna urbanistica, dovuta alla folle sperimentazione ideologica su delle ignare cavie umane, sarebbe già stata demolita e sostituita con qualcosa a dimensione umana … come del resto richiesto dalla totalità dei residenti regolari di Corviale nel 2000 (vedere atti del convegno “Recupera Corviale” tenutosi presso il San Michele nel lontano 2001)

    • Caro Professore,
      grazie per il commento. Lo ha spiegato bene lei, invece di “Estremista” avrei potuto usare “radicale” (e non sarebbe comunque cambiato nulla), ma il dramma di quel bando rimane tutto: essere chiamati, come architetti, ad intervenire non sul progetto (che io, invece, manterrei in parte, per via di alcune mie personali convinzioni su Corviale) di Fiorentino e Lugli, ma di fatto a dare un’interpretazione del progetto Salimei, come a dire che il nostro scopo è intervenire su un progetto, molto discutibile, e già presentato ma talmente ultrapubblicizzato che nessuno ha il coraggio di scartarlo né accettarlo tout court, il che sarebbe comunque una dimostrazione di coraggio da parte di ATER.

Lascia un commento